Ciborio monumentale

Il monumentale ciborio fu commissionato nel 1631 a Cosmo Fanzago, un architetto bergamasco
famoso nella Napoli del tempo per essere stato uno dei principali artefici della costruzione della
certosa di San Martino, dal priore della Certosa di S. Stefano del Bosco, dom Ambrogio Gasco da
Bordeaux (1627-1633). L’esecuzione delle parti metalliche fu affidata a Biase Monte, mentre la
traduzione in bronzo dei modelli delle sculture si deve a due fonditori, Sebastiano Scioppi o Scoppa
e Raffaele Meittener o Matiniti detto da alcuni “il Fiammingo” ma in realtà austriaco ovvero
“tedesco della città di Hispurgh” o Innsbruck.
Il primo pagamento di 190 ducati effettuato in acconto per la costruzione dell’altare risulta da un
atto datato 25 luglio 1633 ma è noto che l’ingente somma spesa per la sua realizzazione, 12.000
ducati, non fu sufficiente. Infatti le notizie dei pagamenti al Fanzago e ai suoi collaboratori da parte
dei certosini si fermano al 1647, perché lo scultore fuggì a Roma in seguito alla rivolta di
Masaniello. Dopo il 1650, durante il priorato del fiammingo dom Ludovico Louvet (1649 – 1660),
gli subentrò Giovanni Andrea Gallo e portò a compimento l’opera con un aggravio di spesa di altri
13.000 ducati. Pertanto, a causa della considerevole somma versata, nel 1656 i certosini di Santo
Stefano del Bosco si unirono a quelli di San Martino nella nota causa “ad exuberantiam”. Dopo la
sua morte, avvenuta nel 1678, la vertenza passò ai suoi successori e fu condotta dalla figlia Caterina
Vittoria.
Un ruolo di primo piano nell’imponente macchina del ciborio ebbe il fiorentino Innocenzo
Mangani. Il biografo Francesco Susinno racconta che lo scultore si trovava a Roma mentre il suo
maestro François Duquesnoy (Bruxelles, 1594 – 1646) realizzava la statua di Sant’Andrea per la
basilica di San Pietro, ma “per aver in un giovanile incontro ucciso un figliuolo naturale di un non
so qual signore romano”, fu costretto a scappare a Napoli. Ma anche qui Mangani, che doveva
avere un carattere litigioso, si trovò coinvolto nella sommossa antispagnola del 1647. Gli salvò la
vita Cosmo Fanzago, che gli fece trovare rifugio in Calabria, alla certosa di Santo Stefano, dove
fervevano i lavori del ciborio.
Certo è che l’altare fanzaghiano, doveva avere ben altre proporzioni rispetto a quello adattato agli
spazi della piccola chiesa dell’Addolorata di Serra San Bruno e le descrizioni dei viaggiatori non
sono del tutto chiare in merito alla sua forma e alle parti che lo componevano. Era posto sotto la
cupola, costruita in pietra pomice e materiali lavici leggeri, per cui il crollo ne ha determinato solo
un parziale danneggiamento. Le statuine superstiti in bronzo dorato a mercurio che ornano l’altare,
raffigurano S. Giovanni Battista, San Giovanni Evangelista, San Pietro, San Paolo e il Cristo
risorto, a cui devono aggiungersi un crocifisso e due coppie di putti canefori. Appartenevano
all’altare anche due coppie di Angeli oranti, una coppia di putti alati e quattro statuine raffiguranti
Santo Stefano, San Bruno, San Lorenzo e San Martino, santi titolari delle certose meridionali,
conservate oggi a Vibo Valentia, nel Museo del Valentianum. Recentemente è stata individuata in
una collezione privata un’altra coppia di angeli oranti, simile a quelle sopracitate. Le statuine
conservate a Vibo Valentia furono recuperate, molto danneggiate, tra i ruderi della Certosa durante i
primi anni del XIX secolo e furono destinate all’altare Pignatelli, nella chiesa di San Leoluca.
Diverse, invece, sono le vicende legate al tabernacolo templiforme che faceva parte del complesso.
L’opera è tradizionalmente attribuita all’argentiere e scultore fiorentino Innocenzo Mangani. Che
forse ha collaborato alla realizzazione del tabernacolo in rame, bronzo e pietre dure, opera per taluni
aspetti legata alla tradizione e al gusto seicentesco degli opifici fiorentini. L’opera è arricchita da
quattro statuine raffiguranti i santi Girolamo, Ambrogio, Gregorio Magno e Agostino, dottori della
chiesa. In alto c’era un angioletto reggicalice trafugato nel 1982 e sostituito nel maggio 1994.
Nei primi anni del XIX secolo il celebre altare fanzaghiano di Serra San Bruno fu modificato dagli
artigiani serresi, che lo ridussero nelle misure per adattarlo alla chiesa dell’Addolorata e ne
modificarono la struttura architettonica. Tra gli artefici spiccano i nomi di Domenico Tucci, che
restaurò le opere bronzee, Giuseppe Drago che restaurò i marmi e Domenico Barillari fu Vincenzo, architetto, che ridisegnò l’opera.